Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 13 giugno - 26 settembre 2008, n. 24186 - Presidente Ravagnani - Relatore Mammone
Ricorrente XXX
Ritenuto in fatto e diritto
XXX si rivolse al giudice del lavoro di Patti per ottenere il pagamento di differenze retributive dal datore YYY s.r.l.. Accolta la domanda, detta società proponeva appello deducendo che erroneamente il primo giudice non aveva accordato valore di prova dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni alle buste paga sottoscritte dalla dipendente, considerando le sottoscrizioni solo prova della ricezione dei prospetti. Proponeva a sua volta appello incidentale la XXX circa la quantificazione delle spettanze.
Con sentenza 22.2-27.4.05 la Corte di appello di Messina accoglieva l’impugnazione principale rilevando che non c’era prova che le somme indicate sulle buste paga fossero di importo inferiore a quello percepito dalla ricorrente e che costei aveva fallito all’onere probatorio a lei facente carico circa la non corrispondenza tra le somme ivi indicate e quelle realmente percepite, di cui assumeva l’insufficienza. Ritenuto infondato anche l’appello incidentale, la Corte rigettava la domanda.
Proponeva ricorso per cassazione la XXX deducendo tre violazioni di legge: a) (artt. 2730, 2735, 2697, 2727 e 2729 c.c.) in quanto il giudice di merito avrebbe impropriamente attribuito valore di confessione stragiudiziale alle presunte quietanze risultanti dalla sottoscrizione delle buste paga; b) (artt. 414, 416, 421, 437 c.p.c.) in quanto sarebbe stata presa in considerazione documentazione tardivamente prodotta; c) (artt. 91 e 92 c.p.c.) in quanto avrebbe dovuto far seguito la condanna alle spese di secondo grado in caso di rigetto dell’appello principale e accoglimento dell’incidentale. Deduce la ricorrente anche carenza di motivazione in punto di rigetto dell’appello incidentale. Si costituiva con controricorso la YYY s.r.l..
Il Procuratore generale chiedeva che il ricorso venisse trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e fosse rigettato per manifesta infondatezza. Notificate le conclusioni del P.g.ai difensori delle parti, il ricorso è stato esaminato in camera di consiglio in data odierna.
Il ricorso non è fondato.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga per cui è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga (Cass. 14.7.01 n. 9588). Inoltre, anche la sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, di modo che la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti (Cass. 24.6.98 n. 6267). Tali principi consentono, quindi, al lavoratore di dimostrare che le somme percepite fossero inferiori a quelle indicate sulle buste paga.
Nel caso di specie il giudice di merito si è attenuto a questi principi, rilevando con motivazione congrua (la sottoscrizione delle buste paga in unico contesto - pur sollecitata dalla promessa del datore di rilasciare automaticamente le certificazioni necessarie per l’iscrizione nel registro dei pubblicisti - non implica automaticamente la non veridicità dell’importo ivi indicato) che la ricorrente non avesse assolto all’onere probatorio della non corrispondenza dei due importi. L’unico dato emergente in senso contrario (la testimonianza del padre dell’attrice) con accertamento di merito congruamente motivato (e, quindi, non censurabile in sede di legittimità) è stato disatteso, di modo che non pare censurabile la conclusione che l’attrice abbia fallito all’onere probatorio a lei facente capo.
Quanto agli altri motivi, quello sub b) e quello attinente la carente motivazione del rigetto dell’appello incidentale, sono entrambi inammissibili per mancanza di autosufficienza, il primo perché non sono indicati i documenti tardivamente prodotti e il rilievo che agli stessi avrebbe attribuito il giudice di appello, il secondo perché non sono esposte le circostanze che, a dire della ricorrente, avrebbero invece raccomandato l’accoglimento dell’impugnazione.
Il motivo sub c) (attinente le spese) è assorbito.
In definitiva il ricorso va ritenuto infondato e va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in euro 30 per esborsi ed in euro 1.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Ricorrente XXX
Ritenuto in fatto e diritto
XXX si rivolse al giudice del lavoro di Patti per ottenere il pagamento di differenze retributive dal datore YYY s.r.l.. Accolta la domanda, detta società proponeva appello deducendo che erroneamente il primo giudice non aveva accordato valore di prova dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni alle buste paga sottoscritte dalla dipendente, considerando le sottoscrizioni solo prova della ricezione dei prospetti. Proponeva a sua volta appello incidentale la XXX circa la quantificazione delle spettanze.
Con sentenza 22.2-27.4.05 la Corte di appello di Messina accoglieva l’impugnazione principale rilevando che non c’era prova che le somme indicate sulle buste paga fossero di importo inferiore a quello percepito dalla ricorrente e che costei aveva fallito all’onere probatorio a lei facente carico circa la non corrispondenza tra le somme ivi indicate e quelle realmente percepite, di cui assumeva l’insufficienza. Ritenuto infondato anche l’appello incidentale, la Corte rigettava la domanda.
Proponeva ricorso per cassazione la XXX deducendo tre violazioni di legge: a) (artt. 2730, 2735, 2697, 2727 e 2729 c.c.) in quanto il giudice di merito avrebbe impropriamente attribuito valore di confessione stragiudiziale alle presunte quietanze risultanti dalla sottoscrizione delle buste paga; b) (artt. 414, 416, 421, 437 c.p.c.) in quanto sarebbe stata presa in considerazione documentazione tardivamente prodotta; c) (artt. 91 e 92 c.p.c.) in quanto avrebbe dovuto far seguito la condanna alle spese di secondo grado in caso di rigetto dell’appello principale e accoglimento dell’incidentale. Deduce la ricorrente anche carenza di motivazione in punto di rigetto dell’appello incidentale. Si costituiva con controricorso la YYY s.r.l..
Il Procuratore generale chiedeva che il ricorso venisse trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e fosse rigettato per manifesta infondatezza. Notificate le conclusioni del P.g.ai difensori delle parti, il ricorso è stato esaminato in camera di consiglio in data odierna.
Il ricorso non è fondato.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga per cui è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga (Cass. 14.7.01 n. 9588). Inoltre, anche la sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, di modo che la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti (Cass. 24.6.98 n. 6267). Tali principi consentono, quindi, al lavoratore di dimostrare che le somme percepite fossero inferiori a quelle indicate sulle buste paga.
Nel caso di specie il giudice di merito si è attenuto a questi principi, rilevando con motivazione congrua (la sottoscrizione delle buste paga in unico contesto - pur sollecitata dalla promessa del datore di rilasciare automaticamente le certificazioni necessarie per l’iscrizione nel registro dei pubblicisti - non implica automaticamente la non veridicità dell’importo ivi indicato) che la ricorrente non avesse assolto all’onere probatorio della non corrispondenza dei due importi. L’unico dato emergente in senso contrario (la testimonianza del padre dell’attrice) con accertamento di merito congruamente motivato (e, quindi, non censurabile in sede di legittimità) è stato disatteso, di modo che non pare censurabile la conclusione che l’attrice abbia fallito all’onere probatorio a lei facente capo.
Quanto agli altri motivi, quello sub b) e quello attinente la carente motivazione del rigetto dell’appello incidentale, sono entrambi inammissibili per mancanza di autosufficienza, il primo perché non sono indicati i documenti tardivamente prodotti e il rilievo che agli stessi avrebbe attribuito il giudice di appello, il secondo perché non sono esposte le circostanze che, a dire della ricorrente, avrebbero invece raccomandato l’accoglimento dell’impugnazione.
Il motivo sub c) (attinente le spese) è assorbito.
In definitiva il ricorso va ritenuto infondato e va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in euro 30 per esborsi ed in euro 1.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.