Ancora un nuovo importante arresto della Suprema Corte in merito alla questione del fatto materiale o fatto giuridico in tema di licenziamento.
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Segnaliamo la sentenza n. 21225 del 20 ottobre 2015 della Corte di Cassazione che interviene in materia di lavoro domenicale e riposo compensativo, confermando il precedente indirizzo secondo il quale: "...il lavoro domenicale senza riposo compensativo non può essere equiparata a quella (fattispecie) del riposo compensativo goduto oltre l'arco di sette giorni...".
La mancata fruizione del riposo compensativo dopo il sesto giorno lavorativo comporta il diritto al risarcimento del danno per il pregiudizio subito al diritto alla salute o ad altro diritto di natura personale (Cass. n. 26398/2013 e n. 9009/2011). In questa sentenza la Corte di Cassazione conferma espressamente che al danno da "usura psico-fisica", che nell' "an" deve ritenersi presunto, e può essere risarcito con maggiorazioni o compensi previsti con contrattazione individuale o collettiva ex art. 2126 c.c., può aggiungersi il danno alla salute o biologico, con onere della prova a carico del lavoratore, "...per l'attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita da riposi settimanali...". Il riposo dopo sei giorni di lavoro consecutivo costituisce un diritto irrinunciabile del dipendente, garantito dal’art. 36 Cost. e dall’art. 2109 c.c., il riposo compensativo goduto oltre l'arco dei sette giorni, non supplisce a tale esigenza, infatti “corrisponde ad una nozione di comune esperienza che l’attività lavorativa, come qualsiasi impegno delle energie psicofisiche, se protratta senza interruzioni, risulta via via più onerosa con il trascorrere delle giornate e il riposo che sopraggiunge dopo un arco di tempo più ampio rispetto alla normale cadenza settimanale non può, di per sé, compensare tale crescente disagio”. A seguito dell'approvazione definitiva in Senato del decreto legge del Governo n. 65/2015, con decorrenza 1 agosto p.v. verranno disposti i rimborsi per il periodo 2012/2013 degli importi di pensione dovuti a titolo di arretrati, con un reintegro della misura del 100% per le pensioni fino a 1.500 euro (fino a tre volte il minimo), del 40% per le pensioni superiori e fino a 4 volte il minimo; del 20% per le pensioni superiori e fino a 5 volte il minimo e del 10% per lo scaglione superiore fino a 6 volte il minimo.
Mentre per il 2014 e il 2015 la rivalutazione è stabilita invece al 20% della percentuale riconosciuta per il periodo 2012/2013 in rapporto alla singola fascia di reddito. La Consulta "boccia" il blocco delle rivalutazioni delle pensioni superiori ai 1.400 euro lordi mensili (tre volte superiori al minimo INPS), degli anni 2012 - 2013 (c.d. norma Fornero nel Salva Italia)
"La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico - dice ancora la sentenza - induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività". "Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà" (art. 2) e "al contempo attuazione del principio di eguaglianza", (art. 3). cfr. Tribunale di Velletri, 21 dicembre 2012 (ord. di rimessione alla Corte Costituzionale)
cfr. SENTENZA N. 226 15 luglio 2014 CORTE COSTITUZIONALE link: http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0226s-14.html Mutando il precedente consolidato indirizzo giurisprudenziale la Cassazione nella sentenza emarginata ha stabilito che al lavoratore basterà dimostrare "l’utilizzo abusivo del contratto a termine da parte della pubblica amministrazione" per avere (sempre) diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla prova rigorosa del pregiudizio subito.
Cass. civ. Sez. lavoro, 23-01-2015, n. 1260 F.E. c. Regione Autonoma Valle d'Aosta In base al generale canone ermeneutico dell'obbligo degli Stati UE dell'interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, per effetto dell'ordinanza della predetta Corte in data 12 dicembre 2013 (P. C-50/13), fermo restando che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime Pubbliche Amministrazioni, salva l'applicazione di ogni responsabilità e sanzione, l' art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, laddove prevede che "il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative", deve essere interpretato, con riferimento a fattispecie diverse da quelle del precariato scolastico, nel senso che la nozione di danno applicabile nella specie deve essere quella di danno comunitario, il cui risarcimento, in conformità con i canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione da parte della Pubblica Amministrazione di contratti a termine, è configurabile come una sorta di sanzione ex lege a carico del datore di lavoro. - insussistenza del fatto - Il “fatto” cui si riferisce il citato art. 18 deve concretizzarsi in un comportamento qualificabile come "inadempimento" ovvero comunque come "fatto idoneo, per sua natura e in astratto, ad incidere irrimediabilmente sulla funzionalità del rapporto", così è stato ribadito dalla Corte d'Appello di Roma con sentenza del 22 maggio 2014, dove è stato precisato che il "fatto deve ritenersi “insussistente” : << non solo quando non si è verificato nella realtà fenomenica, ma anche quando esso, pur verificatosi, non sia imputabile al lavoratore ex art. 1218 c.c. ovvero non appartenga alla categoria degli inadempimenti o dei fatti che astrattamente considerati possono incidere sullo svolgimento del rapporto. Ne consegue che nella nozione di “fatto” è incluso anche il dato dell’antigiuridicità dello stesso >> (Est. Cons. Pascarella)
Il D.L. n. 90 del 2014 in merito all'obbligatorietà del deposito telematico ha fissato diverse scadenze:
- Dal 30 giugno 2014, nei Tribunali, è previsto l'obbligo del deposito telematico per: A) Ricorso per decreto ingiuntivo B) Atti dei procedimenti indicati dall'art. 16-bis, comma 4, D.L. n. 179 del 2012 (atti processuali e documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite) iscritti a ruolo dal 30 giugno 2014. L'obbligo del deposito telematico riguarderà, quindi, gli atti processuali e i documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite (es.: atto di citazione e comparsa di costituzione e risposta si potranno depositare in cartaceo per cui l'obbligo decorrerà dal deposito delle memorie 183 c.p.c.). - Dal 31 dicembre 2014 obbligo di deposito telematico, nei tribunali, degli atti relativi ai procedimenti già pendenti alla data del 30 giugno 2014 e indicati dall'art. 16-bis, comma 4, D.L. n. 179 del 2012. L'obbligo del deposito telematico rimane escluso per i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente e ciò a seguito di quanto indicato nel comma 2 dell'art. 44 del D.L. citato. - Dal 30 giugno 2015 obbligo di deposito telematico nelle Corti d'appello degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalità telematiche, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Dal 30 giugno 2014, è prevista comunque la facoltà di deposito telematico per gli atti relativi ai procedimenti già pendenti alla data del 30 giugno 2014 e indicati dall'art. 16-bis, comma 4, D.L. n. 179 del 2012 e per gli ulteriori atti (diversi da quelli indicati dall'art. 16-bis, comma 4, D.L. n. 179 del 2012) per i quali sia stato rilasciato, all'ufficio giudiziario, il valore legale da parte di DGSIA. La comunicazione ex art. 7, comma 1, Legge n. 604/1966, come novellata dalla legge n. 92/2012, deve essere finalizzata alla realizzazione della procedura conciliativa presso la Dtl, senza valore risolutorio, pena l'inefficacia del licenziamento prevista dal comma 6 del novellato art. 18, Legge n. 300/1970 (con regime obbligatorio di nove mensilità).
Rito Fornero : giudice diverso tra fase sommaria e giudizio di opposizione nel licenziamento13/4/2014 Rettifica di indirizzo precedente
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InformazioneGiurisprudenza
Febbraio 2024
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